La Relazione annuale della Banca d’Italia sull’economia è caduta nello stesso giorno in cui l’Istat rivedeva al ribasso i numeri del PIL italiano per il primo trimestre, con una crescita acquisita per il 2020 del - 5,5%. Questo significa che, nel caso in cui il PIL nei restanti tre trimestri non variasse sul piano congiunturale, la nostra economia si contrarrebbe di tale percentuale. Ma il PIL è atteso al collasso proprio nel periodo aprile-giugno, per cui il - 8% previsto dal governo con l’ultima revisione effettuata nel Def per il 2020 appare ottimistico. Il governatore Ignazio Visco ha stimato la contrazione tra un - 9% e un - 13%. Quest’ultimo dato è stato commentato dallo stesso come frutto di “ipotesi più negative, anche se non estreme”. Uscendo fuori dal linguaggio istituzionale, ha voluto spiegare che lo scenario peggiore sinora ipotizzato sia tutt’altro che remoto e verrebbe seguito da una ripresa per il prossimo anno “lenta”.
Poiché negli altri paesi andrà solo un po’ meglio, con l’eurozona che dovrebbe arretrare tra l’8% e il 12%, stando alla BCE, diremmo che “mal comune, mezzo gaudio”. Il problema è che i nostri margini fiscali risultano nettamente inferiori, a causa dei livelli di indebitamento già alti prima della pandemia e, soprattutto, la ripresa economica da noi rischia di essere più lenta. Ciò si porterebbe dietro due conseguenze devastanti: distruzione a lungo termine di posti di lavoro e crisi fiscale.
Quindi in un mondo di incertezza che ci attende, con un sicuro cambiamento degli stili di vita, in assenza di strumenti codificati per affrontare un’ormai certa decrescita, emergono le posizioni di chi dubbi non ne ha mai avuti, anche in periodi pre pandemia e che sorprendentemente (o meno) riesce a condizionare le scelte di chi ci governa.
Siamo tutti in attesa di vedere impiegati ultrasessantenni (magari diabetici, ipertesi, cardiopatici e sovrappeso) sfrecciare in monopattino per le strade di Milano, per recarsi sul posto di lavoro. O a Roma, manager trentenni e “rampanti”, affrontare in bicicletta le rampe di Monte Mario per tornare a casa: vale la pena di provare a definire cosa s’intenda per decrescita felice.
Niente di meglio dell’enunciazione che ne fa Maurizio Pallante, guru italico del Movimento per la Decrescita Felice:
“La decrescita non è soltanto una critica ragionata e ragionevole alle assurdità di un’economia fondata sulla crescita della produzione di merci, ma si caratterizza come un’alternativa radicale al suo sistema di valori. Nasce in ambito economico, lo stesso ambito in cui è stata arbitrariamente caricata di una connotazione positiva la parola crescita, ma travalica subito in ambito filosofico.
Non ritiene, per esempio, che la crescita della produzione di cibo che si butta, della benzina che si spreca nelle code automobilistiche, del consumo di medicine, comporti una crescita del benessere perché fanno crescere il prodotto interno lordo, ma li considera segnali di malessere, fattori di peggioramento della qualità della vita.
La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio”.
Non c’è che dire, uno scenario popolato da pensionati, inebetiti dal loro benessere (ma le pensioni chi le paga?), immoto e immarcescibile, per Greta e i suoi accoliti!
Un mondo in cui gli antidepressivi sostituiscano la Coca Cola, in cui le differenze generazionali non abbiano cittadinanza.
Ma per fortuna c’è Elon Musk che probabilmente “happy degrowth” (decrescita felice) non riesce a coniugarlo con la razza umana. Che con arroganza tutta yankee (anche se è nativo sudafricano, di Pretoria), con gli USA in piena pandemia, fa decollare il suo “Crew Dragon” verso la stazione spaziale internazionale.
Che punta a rivoluzionare il mondo dei trasporti, dell'energia e dell'esplorazione spaziale. E mira a portare l'uomo sul “pianeta rosso”. Dopo PayPal, la prima idea che gli ha fruttato il denaro necessario per i primi investimenti - invece di sedersi a godere della raggiunta ricchezza - non ha mai smesso di dare vita a nuove creature con cui realizzare le sue visioni per il futuro.
Che ha trasformato, trasforma e trasformerà in progetti concreti, visioni, sogni e aspirazioni umane. Pur sapendo che non tutti i suoi progetti saranno un successo, il solo pensarli riempie di fiducia nel futuro.
Altro che decrescita felice!