LA CRISI D’IMPRESA E LA CONTINUITÀ AZIENDALE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Concordati preventivi e accordi di ristrutturazione dei debiti

La situazione di straordinaria emergenza in cui ci troviamo rischia di pregiudicare la positiva conclusione delle procedure per la soluzione della crisi di impresa alternative al fallimento già avviate e di quelle omologate in corso di esecuzione. Come sottolinea la Relazione illustrativa al Decreto Liquidità: procedure di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione del debito, aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica, potrebbero risultare irrimediabilmente compromesse, con evidenti ricadute sulla conservazione di complessi imprenditoriali anche di rilevanti dimensioni.

Al fine di salvaguardare le procedure in parola vengono introdotte soluzioni differenti in relazione alla fase in cui si trova il relativo procedimento. In particolare, i concordati preventivi (o accordi di ristrutturazione) omologati, vengono “sostenuti” attraverso una proroga di 6 mesi dei termini di adempimento aventi scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 (così dispone l’art.9, primo comma, del Decreto Liquidità). Si tratta di un meccanismo agevolativo ex lege che mira ad evitare la risoluzione delle procedure già attivate; occorre, peraltro, capire se lo slittamento di 6 mesi riguardi soltanto gli adempimenti aventi scadenza nel periodo indicato, oppure se si possa ritenere uno slittamento generalizzato di 6 mesi. La seconda lettura parrebbe preferibile sul piano sistematico.

Nei concordati preventivi, o negli accordi di ristrutturazione, pendenti alla data del 23 febbraio 2020, il debitore in forza dell’art. 9, secondo comma Decreto Liquidità, può ottenere dal Tribunale un nuovo termine, non superiore a novanta giorni che decorre dalla data del provvedimento che lo concede, per depositare un nuovo piano e una nuova proposta di concordato o un nuovo accordo di ristrutturazione. Viene riconosciuta, dunque, la possibilità di presentare una proposta ex novo al fine di offrire al debitore di tenere conto dei fattori economici sopravvenuti per effetto della crisi, qualora fosse venuto meno il requisito della fattibilità, soprattutto, economica dell’originario piano. L’interrogativo più rilevante della norma in esame è stabilire se la stessa, rispetto ai concordati, si applichi soltanto ai concordati già votati favorevolmente, come sembrerebbe doversi ritenere in forza dell’incipit della norma (“nei procedimenti per l’omologazione…”), oppure come sembra preferibile anche per i concordati preventivi ammessi, ma non ancora votati. La prima soluzione appare più coerente col dato testuale, ma di scarsa utilità: perché mai il debitore dovrebbe, avendo ottenuto il voto favorevole dei creditori, modificare il piano e sottoporlo di nuovo al voto, quando, in forza del successivo terzo comma dell’art. 9 del Decreto Liquidità potrebbe più agevolmente modificare i termini di adempimento del concordato, senza sottoporsi ad un nuovo scrutinio dei creditori?  

L’ultimo paragrafo dell’art. 9, secondo comma, del Decreto Liquidità stabilisce che tale strada non è percorribile nel caso in cui l’istanza del debitore venga avanzata nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo in cui si sia già tenuta l’adunanza dei creditori, ma non siano state raggiunte le maggioranze (ex art. 177 legge fallimentare). Qualora il concordato, viceversa, non abbia ottenute le maggioranze di legge, il debitore potrebbe ancora presentare un nuovo piano alla luce dell’orientamento della Suprema Corte, a condizione che non sia stata ancora pronunciata la sentenza di fallimento (scenario, peraltro, temporaneamente precluso in forza dell’art. 10 Decreto Liquidità). In forza dell’art. 9, terzo comma, del Decreto Liquidità, il debitore, fino all’udienza fissata per l’omologa, può depositare una memoria contenente la modifica unilaterale dei termini di adempimento originari del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, con un allungamento massimo di 6 mesi, allegando la documentazione che comprova la necessità di procedere in tal senso: si osserva che non viene richiesta una motivazione specifica connessa all’emergenza in atto. In presenza di tale modifica unilaterale il Tribunale può sempre procedere all’omologa (acquisendo nei concordati preventivi il parere del commissario giudiziale) dando atto delle nuove scadenze e nel rispetto comunque della permanenza dei presupposti previsti dall’art. 180 e 182 bis legge fallimentare. La norma sembra doversi applicare ai concordati preventivi già favorevolmente votati dai creditori. Una riflessione aggiuntiva si rende necessaria per gli accordi di ristrutturazione nei quali non vi è un voto dei creditori. In tale quadro, il secondo comma dell’art. 9 del Decreto Liquidità sembra doversi applicare al caso in cui sia ancora pendente il termine di trenta giorni per l’opposizione dei creditori di cui al quarto comma dell’art. 182 bis legge fallimentare, mentre il terzo comma dell’art. 9 appare applicabile al caso in cui il detto termine sia decorso, ma il Tribunale non abbia ancora disposto l’omologazione.  

L’art. 9 quarto comma del Decreto Liquidità si occupa dei concordati in bianco e stabilisce che il debitore può presentare istanza per la concessione di un ulteriore rinvio (sino a novanta giorni) laddove i termini siano già stati prorogati e prima che gli stessi siano scaduti, indicando gli elementi che rendono necessaria la concessione con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica Covid-19. La norma precisa che l’ulteriore rinvio può essere ottenuto anche laddove sia stata depositata istanza di fallimento, se ciò è accaduto prima della scadenza del termine (già prorogato) ex art. 161, comma sesto, legge fallimentare, giacché l’obiettivo prioritario resta quello di consentire, nella situazione in cui il Paese si trova, il perseguimento di una soluzione concordata della crisi. La proroga è concessa, acquisito il parere del commissario giudiziale se nominato, qualora la stessa si fondi “su concreti e giustificati motivi” e comunque nel rispetto della disciplina prevista dal settimo e dall’ottavo comma dell’art. 161 legge fallimentare, espressamente richiamata. In generale, attraverso il sistema dell’allungamento dei termini, si offre al debitore una “ciambella di salvataggio” per riallineare i piani di concordato alla nuova situazione economica.

La proroga sino a novanta giorni, ovvero l’applicazione del quarto comma, è consentita, ai sensi dell’art. 9 quinto comma del Decreto Liquidità, anche ai soggetti che si stanno avvalendo, ai fini della conclusione delle trattative funzionali ad accordi di ristrutturazione, del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 182 bis, settimo comma, legge fallimentare. L’istanza deve basarsi, anche in questo caso, “su concreti e giustificati motivi” e devono continuare a sussistere i presupposti per pervenire all’accordo di ristrutturazione; la proroga fino a novanta giorni non è subordinata allo svolgimento dell’udienza prevista dall’art. 182 bis, settimo comma, primo periodo, legge fallimentare. Sulla proroga fino a novanta giorni disposta dal quarto e dal quinto comma dell’art. 9 resta da stabilire se e come influisca la sospensione dell’attività giudiziaria dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020, disposte dapprima dall’art. 83, primo e secondo comma, d.l. 17 marzo 2020 n. 18 (Decreto Cura Italia) e poi nell’art. 36 del Decreto Liquidità. Sul tema occorre segnalare che taluni tribunali, non senza contrasti, avevano ritenuto applicabile la sospensione dell’attività giudiziaria anche ai termini concessi dall’art. 161, sesto comma, legge fallimentare per il deposito della domanda di concordato. Alla luce di quanto disposto dall’art. 9 del Decreto Liquidità parrebbe preferibile evitare di sovrapporre la sospensione derivante dal blocco dell’attività giudiziaria alla proroga fino a novanta giorni, sempre che quest’ultima istanza possa essere depositata.

 

Improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa e per l’accertamento dello stato di insolvenza nell’amministrazione straordinaria

L’art. 10 del Decreto Liquidità introduce una misura eccezionale e temporanea, ma a valenza generale alla luce dell’evidente difficoltà, nella situazione attuale, di ricondurre o no lo stato di insolvenza all’emergenza epidemiologica.  È apparso dunque necessario, seppure per un periodo di tempo molto contenuto (dal 9 marzo al 30 giugno 2020), introdurre il principio dell’improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento, per la liquidazione coatta amministrativa, nonché per l’accertamento dello stato di insolvenza nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.  

E’ fatta salva, dal secondo comma dell’art. 10 in commento, la richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione di provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento ai sensi dell’art. 15 comma ottavo legge fallimentare. In quest’ultimo caso, infatti, la radicale improcedibilità avrebbe avvantaggiato le imprese che stavano mettendo in atto condotte dissipative di rilevanza anche penale con nocumento dei creditori, compromettendo le esigenze di repressione di condotte caratterizzate da particolare gravità. L’ambito dell’improcedibilità merita di essere approfondito ma questa distonia sembra superata dalla Relazione illustrativa, ove si legge che “il blocco si estende a tutte le ipotesi di ricorso e quindi anche ai ricorsi di fallimento presentati dagli imprenditori in proprio, in modo da dare anche a questi ultimi un lasso temporale in cui valutare con maggiore ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa, senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbero in gran parte da ricondursi a fattori esogeni”.

La scelta, peraltro, non appare condivisibile, in quanto il fallimento in proprio è disciplinato dall’art. 14 legge fallimentare e sfocia nella sentenza di cui all’art. 16 legge fallimentare, senza bisogno di transitare dall’udienza ad hoc disciplinata dall’art. 15 legge fallimentare; dunque potrebbe essere legittimo ritenere che il fallimento in proprio sia sottratto dall’improcedibilità. La scelta contraria, avvalorata dalla Relazione illustrativa, non convince, in quanto non si riesce a capire perché l’imprenditore insolvente non possa porre fine alla sua attività, ma resti obbligato a proseguirla fino al 30 giugno 2020 aggravando il dissesto. L’esclusione del fallimento in proprio rappresenta una soluzione troppo irrazionale: si impone un ingiustificato obbligo di prosecuzione dell’attività. Viceversa le domande di concordato o di omologa di accordi ristrutturazione dei debiti, salvo fare i conti con la sospensione dei termini processuali sino all’11 maggio 2020, potranno essere presentate senza ricadere nella trappola dell’improcedibilità.

Il debitore, dunque, che già versava in condizione di crisi, o che comunque, si ritrova travolto e pericolosamente a rischio insolvenza, consapevole dell’impossibilità di riuscire a recuperare il normale andamento di esercizio e non reputando sufficienti le misure apprestate dal legislatore dell’emergenza, potrà procedere sin da subito con una domanda di concordato preventivo o iniziare a negoziare un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori.

Fonte: articolo tratto da: il Caso.it