In occasione della Giornata Mondiale della parità retributiva che si è celebrata il 18 settembre, facciamo il punto sulla situazione.
Sembra quasi surreale che ci sia bisogno di sensibilizzare il mondo sul tema del gender pay gap, più banalmente la disuguaglianza di stipendio sul lavoro tra uomini e donne.
E, invece, l’ONU ha dovuto istituire addirittura la Giornata internazionale della parità retributiva, che si celebra il 18 settembre, per non spegnere i riflettori su questa ingiustizia e per promuovere politiche che mirino al raggiungimento di una reale equità salariale.
Una strada ancora molto lunga, guardando l’attuale situazione in Italia, in Europa, ma anche nel mondo.
Il fenomeno è radicato nelle società di tutto il mondo, e nessun Paese ha ancora raggiunto l’uguaglianza salariale tra uomini e donne, indipendentemente da quanto sia sviluppato. Così come nessun Paese ha definitivamente rotto il cosiddetto “tetto di cristallo”, quella metaforica barriera invisibile, ma molto solida che blocca l’accesso delle donne alle posizioni di vertice.
Sono tutte ingiustizie sociali che, oltretutto, non vanno a discapito solo delle donne, ma impattano fortemente anche sull’economia delle nazioni.
Il cambiamento è cominciato, ma va davvero molto a rilento: basti pensare che, secondo le stime del World Economic Forum, ci vorranno ancora 131 anni per raggiungere la piena parità di genere, circa 5 generazioni in più rispetto all’obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030.
In un tale contesto, ovviamente, l’intervento legislativo è fondamentale, ma, come è evidente, non è sufficiente.
È necessario un cambio di passo culturale, a cominciare dalle stesse aziende che devono implementare politiche interne a favore della parità e della parità retributiva, creando ambienti di lavoro più equi e inclusivi.
La parità di genere e la lotta alla disparità salariale tra donne e uomini sono tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 ONU per lo sviluppo sostenibile nonché alcuni dei pilastri nei progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
In linea con quanto sopra, l’Italia ha elaborato a luglio 2021 la “Strategia Nazionale per la Parità di genere 2021-2025” che tra i propri strumenti annovera la certificazione della parità di genere.
La certificazione della parità di genere è stata introdotta dalla L. 162/2021 (legge sulla parità salariale) ed è prevista anche dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Secondo il PNRR, infatti, la creazione di un sistema di certificazione della parità di genere garantirà:
- Diminuzione del gender-pay gap;
- Migliori condizioni lavorative per le donne, anche in relazione alla protezione della maternità;
- Aumento dell’occupazione femminile;
- Maggiore inclusione.
Il c.d. bollino rosa attesta le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e alla tutela della maternità.
Studi statistici ed economici dimostrano che le aziende che hanno maggiore successo sono quelle che puntano sull’inclusività.
Un ambiente di lavoro inclusivo favorisce l’incremento della creatività, dell’innovazione e della produttività e il miglioramento della reputazione e dell’immagine aziendale, fattori che implicano anche una maggiore attrattività per gli investitori.
Inoltre, le aziende virtuose che ottengono il c.d. bollino rosa possono godere di una serie di benefici come:
- Un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato.
- Un punteggio premiale per la valutazione, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, delle offerte presentate a seguito della pubblicazione di bandi di gara, avvisi o inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere.
A completare le previsioni in materia di certificazione della parità di genere per le aziende è intervenuta la UNI/PdR 125:2022 di marzo 2022, ovvero la prassi di riferimento contenente le linee guida per l’attuazione delle politiche di parità di genere nelle aziende.
Essa fissa i parametri di riferimento ai quali adeguarsi per conseguire la certificazione individuando 6 aree di indicatori che possono contraddistinguere un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere:
1. Cultura e strategia;
2. Governance;
3. Processi HR;
4. Opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda;
5. Equità remunerativa per genere;
6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
Per ogni area sono stati identificati degli indicatori di performance (c.d. KPI – Key Performance Indicator) e a ciascuno di essi è associato un punteggio: l’accesso alla certificazione da parte della società è consentito con il raggiungimento di un punteggio del 60%.
La certificazione della parità di genere per le aziende emerge quindi come uno strumento fondamentale per coloro che desiderano dimostrare il loro impegno verso la parità e creare ambienti di lavoro inclusivi. Tuttavia, il cambiamento non può avvenire solo attraverso interventi legislativi; è essenziale un cambio di passo culturale che coinvolga tutti gli attori della società.
Solo attraverso un impegno congiunto e una strategia a lungo termine sarà possibile garantire un futuro in cui uomini e donne possano godere di pari opportunità e diritti nel mondo del lavoro.
Fonte:
https://toffolettodeluca.it/certificazione-della-parita-di-genere-facciamo-il-punto/
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